Allo scoccare del nuovo millennio, come in ogni fiaba che si rispetti, uno dei protagonisti, Gianni Cella, lascia il nido che l’ha generato per intraprendere il suo personale percorso di formazione e coltivare la propria identità artistica, alla conquista di un nuovo “Regno”. E il suo regno gli compare sulla strada un po’ come la tana del Bianconiglio: “quando vide la favola non si accorse di entrare, saltò dentro e basta”.
Dal Plumecake alla Casa di Marzapane.
Ecco allora, come scrive Renato Barilli in articolo del 2011 “[...] è ormai giunta l’ora di dare a ciascuna delle parti quanto le spetta sul cammino autonomo intrapreso […] Cella, rispetto agli ex-colleghi di tante imprese, si distingue per un maggior fervore narrativo, da cui anche l’impegno a rendere più analitico e articolato il proprio discorso, moltiplicandone le comparse, anche a prezzo di attenuarne, viceversa, il rilievo plastico-monumentale”.
(cit. R. Barilli, testo critico Mostra Cella-Palmieri, Galleria Arrivada, Chur, 2011).
Il “fervore narrativo” lo conduce nel “Regno del Fantastico” dove compaiono personaggi che, a dispetto del loro essere grotteschi e visionari lavorano su metafore e simboli rappresentativi della condizione esistenziale umana, in particolar modo della capacità di relazionarsi coi propri simili nell’epoca della “società di massa”: “[…] con il suo sguardo a volte grottesco, a volte malinconico, riesce a coniugare perfettamente l’intuizione creativa con il con il gioco conducendoci all’interno del suo “guardare [...]”.
(cit., P. Rigamonti, Una vita lemme lemme, Showcases Gallery, Varese, 2018).
“Show must go on”
(cit., M. Sciaccaluga, p.3, Gianni Cella, Pavia, 2002): se volete sapere come continua la fiaba di Gianni, clicca qui